10 domande sul Coronavirus (parte 2)
Dopo la parte 1 (qui), arriviamo alla seconda tranche di domande e dubbi sul virus pandemico
Asintomatici, pauci-sintomatici, sintomatici: che vuol dire?
Per iniziare potrebbe essere bene cercare di capire cosa significhino termini come asintomatico, pauci-sintomatico, sintomatico.
-Asintomatico: si intende una persona che, infetta, non presenta sintomi clinici. Attenzione, questo non vuol dire che non presentino alcun segno dell'infezione da SARS-CoV-2, ma che semplicemente non li manifestano e quindi sono indistinguibili nella pratica clinica da una persona sana. Potrebbero presentare però danni cellulari od organici che si evidenziano attraverso esami ed indagini, come TAC, radiografie, esami del sangue ecc... Per fare un esempio, drammatico e che non ha a che fare con malattie infettive, i malati di tumore al pancreas (come anche altri tipi di tumore ad esempio il seno) spesso manifestano sintomi a stadi già avanzati della malattia, questo non significa che prima il tumore non esista o non sia classificabile come malattia, ma che prima non intacca lo stato di salute del paziente. Gli asintomatici sono i più difficili da tracciare, se non rientrano nelle catene di contact-tracing difficilmente avranno accesso ai tamponi e quindi sono molto difficili da conteggiare.
-Pauci-sintomatico: se la malattia presenta pochi e blandi sintomi, si parla di persone paucisintomatiche. I pazienti COVID-19 paucisintomatici sono quelli che sperimentano sintomi, anche rari, ma lievi. Possono presentare tosse, starnuti, alterazione o perdita di gusto e olfatto o anche altri sintomi, ma che, in assenza di un attento controllo medico, potrebbero quasi non accorgersi di cambiamenti significativi del proprio stato di salute. Queste persone non hanno bisogno di assistenza da parte del personale medico, ma avrebbero bisogno di un tampone molecolare per discriminare la causa dei loro sintomi.
-Sintomatici: sono tutti quei pazienti che manifestano uno o più sintomi in maniera severa. Tipicamente si hanno quindi tosse secca, febbre (sopra i 37°C) e altri sintomi della malattia. Non è detto che abbiano bisogno di cure mediche specifiche, ma presentano sintomatologie più importanti che alterano significativamente lo stato di salute. Sono facilmente individuabili dal medico preposto e dovrebbero essere sempre sottoposte a tampone per una diagnosi più accurata.
Ma gli asintomatici sono davvero non malati?
Nei fatti le persone asintomatiche, come detto, non manifestano segni esteriori o manifesti di malattia, ma possono presentare danni a livello cellulare od organico che non danno vere manifestazioni cliniche. Nel COVID-19, questo sembra essere spesso vero. La tempesta infiammatoria e citochinica che questa malattia provoca sembra infatti portare in molti casi a danni a polmoni e altri organi. Ad esempio nel caso della nave da crociera Diamond Princess il 54% dei pazienti asintomatici presentava danni al polmone evidenziabili con la TAC. In un altro studio un buon numero di pazienti, anche asintomatici, presentava una miocardite non evidenziata da particolari condizioni cliniche, a seguito dell'infezione da SARS-CoV-2. I pazienti asintomatici sembrano poi perdere la carica virale più lentamente rispetto ai pazienti asintomatici, come scritto in un articolo su Nature. Anche negli asintomatici si sono rilevati cambiamenti nello stato infiammatorio e immunitario rilevanti.
I primi dati quindi ci suggeriscono che un buon numero di pazienti asintomatici potrebbero avere segni complessi e difficili da quantificare. Dati che sono suggeriti da un altro fenomeno, il Long-COVID, di cui parlerò più avanti.
Quali sono i sintomi del COVID-19?
Una domanda che ricorre spesso è: sarà influenza o COVID?
Beh ad oggi, rimanendo dell'ambito dei pazienti sintomatici, abbiamo un'idea chiara di quali sono i sintomi più comuni. In ogni caso, mi raccomando di vietarsi l'auto-diagnosi, nel caso si sospetti di avere la malattia bisogna contattare il proprio medico. D'altronde, vista la pressione negli ospedali, è anche importante non accalcare il pronto soccorso degli ospedali e cercare di capire se i sintomi sono compatibili con la pandemia.
Le varie reviews hanno elencato i sintomi, mostrando una varietà di segni importante. La febbre rimane la manifestazione più comune condivisa da più del 70% dei pazienti, seguono tosse secca, stanchezza, difficoltà respiratorie e dolori muscolari. Più raramente ci sono sintomi che riguardano l'apparato digerente come nausea, vomito e diarrea, accompagnati a volte da mal di testa e vertigini.
Per quanto riguarda la perdita di gusto e olfatto, molta discussa, i dati sono contrastanti. Non sembra essere un fenomeno raro: una percentuale tra il 20% e il 30% delle persone riporta questo sintomo. Risulta quindi un sintomo abbastanza comune (poco meno a dolori muscolari e stanchezza per dirla), ma la sua comparsa risulta più legata ad altri segnali legati al sistema nervoso, come vertigini o fotofobia. La letteratura pone in evidenza come questo sintomo sia particolarmente osservata nei pazienti positivi al coronavirus che non presentano altri sintomi clinici. Piuttosto che danneggiare la struttura dei recettori, è stato suggerito che il virus causi un qualche tipo di infiammazione nei nervi olfattivi e gustativi in sede di infezione. Tuttavia, i risultati dei ricercatori suggeriscono che l'esatto meccanismo delle disfunzioni olfattive e gustative richiede ulteriori indagini. In linea generale si suggerisce di osservare la perdita della funzione olfattiva e/o gustativa come possibile sintomo precoce di infezione da SARS-CoV-2 da parte del medico anche in assenza di altri sintomi.
Nei casi più gravi si possono sviluppare altri sintomi come polmonite bilaterale, emottisi (cioè perdita di sangue con la tosse), infiammazione e problemi a fegato, reni e altri organi con crisi che possono portare alla terapia intensiva e, purtroppo, alla morte.
Come abbiamo visto i sintomi clinici sono molto vari e possono anche essere mal interpretati, vista anche l'ampia percentuale di asintomatici. Nel caso si abbiano dei sintomi riconducibili al COVID-19 o si abbiano avuto contatti a rischio è sempre meglio avvertire il proprio medico di base, sarà lui a valutare nel dettaglio il vostro stato clinico e decidere se procedere con l'indagine molecolare, unico vero strumento per una diagnosi certa per questa malattia.
Quanto ha ucciso il COVID-19?
Questo è in discorso a cui tengo molto. Per prima cosa vedremo l'eccesso di mortalità registrato in questo 2020 e poi analizzerò il ruolo del COVID-19 in questo eccesso.
Quanti morti in più ci sono stati?
Mi scuso fin d'ora per la "numerologia" di questa sezione, mi rendo conto che dietro ogni numero ci sono persone e famiglie che hanno sofferto e i numeri, che scritti sembrano sempre freddi, invece sono intrisi di storia.
A questa domanda ci viene incontro l'ISTAT. I dati dettagliati sono però forniti solo per i primi 8 mesi dell'anno, per il resto dobbiamo affidarci ai bollettini del Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera.
L'ISTAT conserva i dati della mortalità generale mese per mese e sul sito demo.istat.it sono disponibili i dati dal 2012 ad oggi. I dati disponibili certificano un eccesso di mortalità nei primi 8 mesi di quest'anno superiore a tutti gli altri 8 anni precedenti. L'anno con più mortalità fino ad ora registrato in questo periodo è stato il 2015 con 445125 morti in 8 mesi contro i 475674 del 2020. 30549 morti in più compatibile col dato registrato di 35483 deceduti dovuti all'infezione da SARS-CoV-2. Tuttavia ci si potrebbe chiedere se questo dato sia frutto di una normale fluttuazione in un trend in aumento o se sia dovuta alle particolari condizioni epidemiche. A questo punto l'analisi va spezzettata in periodi temporali e modellata. Per questo, cercando di far mei i ricordi di sviluppo di modelli nei miei anni di ricerca in chemo-tossicologia informatica, ho cercato di modellare delle predizioni di mortalità che vedrete nel prossimo grafico.
Vedete varie linee. Le linee denominate previsione peggiore e previsione migliore sono costituite scegliendo rispettivamente le mortalità più alte e più basse per ogni mese dal 2012 al 2019. I punti delle linee arancione e verde sono quindi i massimi e i minimi registrati ogni in mese in termine di deceduti. Le linee blu e giallo scuro, atteso minimo e atteso massimo quindi, sono invece modelli di modalità attesa che rispecchiano un intervallo di mortalità su cui si poteva ragionevolmente posizionare il 2020. Infine ci sono rappresentate le medie di mortalità dal 2012 al 2019 e dal 2015 al 2019. Perché la media delle due scelte? Semplice il 2015 e il 2017 sono anche definiti anni dalla mortalità anomala particolarmente alta, quindi inserendo gli anni precedenti si ammortizzano queste anomalie, mentre escludendoli le si esalta. Come si vede il 2020 rientra sostanzialmente in valori attesi per 6 mesi su 8 (volendo febbraio 2020 è anche sotto l'atteso), mentre per il mesi di marzo e aprile c'è un balzo della mortalità che è completamente anomalo. Il mese di marzo ha superato di gran lunga gennaio 2017 che, con i suoi più di 75000 morti, si era dimostrato il più "letale" della storia.
Andando a vedere la media del quinquennio precedente al 2020 (2015-2019) quest'anno c'è stato un eccesso di mortalità classificabile in 42419 morti, cioè il 9,92% in più rispetto a quel periodo. Rispetto al valore atteso massimo calcolato da me (la linea giallo scuro), ci attestiamo a 19580 morti in più.
La seconda ondata epidemica di questo autunno sembra ricalcare gli andamenti della ondata di fine inverno/primavera. I dati del SISMG mostrano come la curva (che a dirla tutta non interpola benissimo i valori), mostri un nuovo eccesso di mortalità rispetto ai valori attesi.
Eccesso certificato anche dallo z-score rilevato da un importante sito europeo dedicato alle analisi della mortalità settimanale in vari paesi europei, fra cui l'Italia. Lo z-score viene utilizzato per standardizzare le serie e consentire il confronto del modello di mortalità tra diverse popolazioni o tra diversi periodi di tempo. La deviazione standard è l'unità di misura dello z-score. Consente il confronto delle osservazioni da diverse distribuzioni normali. I dati italiani certificati da questo progetto riguardano le prime 44 settimane di quest'anno. In questo caso i dati sono disponibili solo a partire dal 2015. Nella mia analisi ho preso i valori di z-score e raggruppati in medie per gruppi di 4 settimane, raggiungendo così 11 valori corrispondenti alle prime 44 settimane di ogni anno.
Come si vede anche da questo grafico ci sono 3 punti, corrispondenti al terzo, quarto e quinto gruppo di 4 settimane che è nettamente anomalo rispetto agli andamenti di z-score degli anni precedenti, inoltre gli ultimi tre gruppi (cioè le ultime 12 settimane) sono nuovamente sopra i valori registrati nel quinquennio precedente. In particolare le ultime 4 settimane (dalla 40 alla 44) sono nettamente superiori, non spiegabili con quella che può essere una, seppur anomala, variabilità.
Insomma valori molto strani, certificati da più parti, difficilmente spiegabili da una mera variazione statistica. L'epidemia quindi, almeno per due mesi e probabilmente anche nelle ultime settimane, ha impattato fortemente sulla mortalità generale.
Ma è stato il COVID-19?
Altra polemica che periodicamente riaffiora è se il conteggio dei morti sia stato errato in quanto si sono contati morti dovuto ad altre patologie. I report di analisi della mortalità prodotta dall'ISTAT certificano il fatto che il 3,2% delle persone decedute a seguito dell'infezione da SARS-CoV-2 non presentavano altre patologie pregresse, mentre il 12,6% portava una patologia. Molte delle patologie diffuse sono l'ipertensione arteriosa, il diabete di tipo II, la demenza e l'obesità. Patologie quindi che difficilmente sono la causa primaria di morte. Infatti, secondo il report del 16 luglio, la malattia COVID-19 è stata la diretta responsabile del 89% dei morti analizzati. COVID-19 è una malattia che può rivelarsi fatale anche in assenza di concause. Non ci sono infatti concause di morte preesistenti a COVID-19 nel 28,2% dei decessi analizzati.
Questo dato prodotto dall'ISTAT è in linea anche con delle analisi scientifiche pubblicate da teams internazionali. Infatti in un articolo su Clinical Medicine Journal, gli autori concludono che COVID-19 sia la diretta responsabile della morte del 92% dei pazienti analizzati. Risultati simili registrati da altri scienziati che notano come l'insufficienza respiratoria attribuibile al COVID-19 sia la causa più diretta responsabile delle varie morti. Naturalmente, concludono, la presenza di comorbilità aggrava lo stato clinico aumentando il rischio di morte, ma l'insufficienza respiratoria diventa il fattore principale che ha portato alla morte.
Una piccola nota personale...
Ora vorrei dare una mia opinione personale, quindi prendetela per quello che è. Come abbiamo visto quest'anno c'è stato un eccesso di mortalità. Eccesso indipendente da come si sono contati i morti. La forbice di eccesso varia da 19500 ai 67600 morti in più rispetto a quelli che potevano essere valori attesi nei primi 8 mesi dell'anno. Ora personalmente non mi interessa sapere se queste persone sono decedute DI o CON la malattia COVID-19, sono persone che non esistono più PER il COVID-19. A livello politico e sanitario avrà una sua importanza, ma al sottoscritto che scrive non importa sapere se sono decedute a causa del fatto che non hanno ricevuto le cure adeguate a causa degli ospedali pieni, perché si sono interrotti programmi di screening, perché le persone fragili non sono state tutelate o perché (cosa che abbiamo visto essere probabile) il SARS-CoV-2 ha dato il colpo di grazia. Fatto sta che senza questa pandemia questi morti non ci sarebbero stati e chi ha fatto il gioco di sottostimare la questione o, peggio, l'ha negata semmai lanciando dubbi di complotti, per il sottoscritto, una parte di colpa ce l'ha.
Cos'è il Long-COVID?
Sempre di più si sente parlare di persone che, anche guarite da questo nuovo coronavirus, manifestano segni e sintomi per tempi molto lunghi. Questo fenomeno è detto Long-COVID.
Per Long-COVID si intendono quelle persone che, anche asintomatiche o con pochi sintomi, iniziano o continuano ad accusare sintomi debilitanti per molte settimane, addirittura mesi, dall'ufficiale guarigione.
I sintomi più comuni sono stanchezza, dolori e problemi respiratori, ma si registrano anche disturbi al gusto e all'olfatto, problemi cardiaci e altri vari. A dimostrazione del fatto che il virus può danneggiare anche senza manifestare sintomi, questo fenomeno del Long-COVID si manifesta anche in pazienti che erano asintomatici durante l'infezione.
Non si sa molto su questo fenomeno e perché si manifesti. Le varie analisi dimostrano come una percentuale variabile dal 20% al 85% dei pazienti guariti dall'infezione continuano a manifestare sintomatologie per un periodo di tempo variabile. Le indagini eseguite manifestano spesso una fibrosi a livello polmonare, ma si vedono anche segni di miocardite e infiammazioni al cuore. Più rare invece appaiono compromissioni ad altri organi come fegato e rene. La cosa interessante è che non ci sono differenze significative di una manifestazione di Long-COVID tra pazienti che hanno avuto infezioni gravi o lievi.
Inoltre l'infezione da SARS-CoV-2 sembra lasciare anche strascichi neurologici e psichiatrici. Una quota significativa di pazienti sembra infatti andare incontro a fenomeni di ansia, depressione e demenza dopo la guarigione da questo coronavirus. Non è noto se queste conseguenze siano dovute all'isolamento, all'ansia e allo stress psichico dovuto all'infezione o a danni neurologici.
La sindrome del Long-COVID però è un fenomeno che va indagato accuratamente. Con l'aumentare dei casi e un ritorno alla vita normale si presuppone che le persone che soffriranno di queste conseguenze saranno numericamente maggiori e la loro gestione va accuratamente programmata.
Perché alcuni lo prendono e altri no?
Una domanda che si pongono in tanti è: perché alcune persone si prendono la malattia in forma grave e altri no? O addirittura perché alcuni, anche vivendo con familiari malati, non si ammalano?
Innanzitutto come abbiamo già visto gli anticorpi possono formarsi in molti individui. Quindi anche persone asintomatiche potrebbero aver sviluppato anticorpi, ma vista la minor capacità infettiva non aver diffuso il virus ad esempio in ambiente familiare dove un altro individuo semmai poi manifesterà i sintomi. In questo caso solo l'indagine sierologica potrà dipanare il dubbio. Inoltre alcune indagini recenti hanno fatto sospettare come alcune infezioni, specialmente quelle con i coronavirus tipici del raffreddore, possano fornire una generica protezione contro il SARS-CoV-2. Questa informazione potrebbe quindi fornire un indizio del perché alcune persone effettivamente siano protette.
Altri indizi, invece, forniscono prove del perché alcune persone abbiano forme più forti di malattia ed invece altre risultino pauci-sintomatiche o addirittura asintomatiche. La causa sarebbe da ricercare, almeno in parte, nella variabilità genetica interpersonale. Studi su Science e Nature hanno analizzato il genoma di pazienti e cercato correlazioni significative. Il primo è stato svolto alla Howard Hughes Medical Institute della Rockefeller University. La ricerca ha studiato13 geni associati alla produzione di interferoni in risposta ai virus influenzali. Queste sono molecole che stimolano l'organismo a controllare il virus e modulare l'infiammazione. Dalla ricerca risulta che 23 dei 659 pazienti studiati (cioè il 3,5% del totale) aveva un difetto proprio nell'espressione di interferoni. Ciò spiega perché queste persone possano difendersi in modo meno efficiente dal coronavirus. Un'altra ricerca punta sull'autoimmunità. Nel secondo studio, quindi, i ricercatori hanno controllato la presenza di autoanticorpi contro gli interferoni in 987 pazienti, e li hanno trovati in 101, per lo più (nel 94% dei casi) di sesso maschile. Gli autori quindi suggeriscono di indagare le risposte immuno-modulanti nei riguardi degli interferoni per capire di più il ruolo di queste molecole sulle infezioni gravi da COVID-19.
Sugli ormoni invece puntano altre ricerche. In particolare gli androgeni, ormoni maschili, potrebbero spiegare le differenze di malattia e mortalità registrate fra uomini e donne. Una delle proteine chiavi nell'ingresso di SARS-CoV-2 nelle cellule è infatti TMPRSS2 la cui espressione sulla superficie delle cellule è strettamente legata a questi ormoni maschili. In particolare un tipo particolare di combinazioni genetiche, definite aplotipo, chiamato R1b-S116, particolarmente diffuso nell'Europa celtico-italica-balcanica, sembrerebbe collegato ad un peggiore out-come dei pazienti COVID-19. Questa particolare combinazione di geni si trova proprio sul cromosoma Y e, in parte, spiegherebbe anche la maggiore mortalità di questa malattia in Francia, Italia e paesi correlati. Naturalmente parliamo di correlazioni statistiche e non ci sono ancora prove dirette di una relazione causa-effetto.
Altre ricerche puntano sul cromosoma 3. In particolare su due aree: una legata alla determinazione del gruppo sanguigno e un'altra area legata invece ad un gruppo di geni di funzione non così chiarita. Da questa analisi sembrerebbe che i soggetti di gruppo sanguigno 0 siano più colpiti da malattia grave. L'altro gruppo di geni coinvolti invece è legato ad una parentela con i Neanderthal. Questa variante genetica sarebbe quindi stata ereditata da quelle popolazioni che hanno avuto maggior frequenza di incrocio con questi nostri antichi parenti.
E indovinate dove sono queste popolazioni? Principalmente in Italia, Francia, Spagna ed Europa centro-meridionale in genere. Queste correlazioni, diffusione gruppo 0 e parentale con Neanderthals, aggiungono un altro tassello interessante a capire i perché il COVID-19 abbia colpito più duramente certe popolazioni invece di altre.
Altre ricerche ancora puntano sul liposoma, cioè la composizione di grassi delle cellule, varianti genetiche di ACE2 (che si trova sul cromosoma X) e la sua relazione con gli estrogeni e tanti altri fattori. Infine ci sono fattori come il fumo, malattie renali, dieta che si sono viste correlate con peggiori esiti di malattia.
Insomma, il COVID-19 potrebbe essere legato a tanti fattori genetici e ambientali. Le analisi genetiche suggeriscono che varianti diffuse nel mondo occidentale causino peggiori esiti, ma nulla è dato ancora per certo e solo con analisi veramente estese si potranno trovare relazioni davvero convincenti.
DOMANDA 1
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DOMANDA 2
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DOMANDA 3
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DOMANDA 5
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