Lavorare per migliorare per voi: un master alla scoperta di come superare la comunicazione 2.0

Sabato ho iniziato il Master in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della Scienza.
Ho iniziato questo master per poter migliorare le mie capacità, convinto che riuscire ad aumentare le mie "skills" in comunicazione sia utile per offrire a voi -prima che a me- un miglior servizio e poter comunicare meglio ciò che ritengo importante.




Siamo una quarantina di persone con profili più vari, la maggioranza laureate in materie scientifiche -da geologia a medicina; da fisica a biotecnologie- ma anche altri profili come giornalisti, insegnanti e profili aziendali vari. Naturalmente a tutti appassiona la comunicazione scientifica, chi più "istituzionale" -quindi comunicare scoperte scientifiche per enti o ditte- chi più "giornalistica" -quindi per giornali spiegando ciò che la scienza offre- chi più "divulgativa" -quindi comunicando in termini più ampi la scienza in base alle proprie competenze e passioni-; questa varietà di provenienze e di intenti mi ha subito entusiasmato e credo dia uno squarcio abbastanza ampio di una realtà in crescita e di un sentito trasversale sulla necessità di comunicare ampiamente la scienza al pubblico.
Il master nasce da quello della SISSA di Trieste, ma si differenzia in quanto basato su on-line con dei weekend di presenza ed è pensato principalmente per lavoratori.
Fin da subito è stato chiaro che il master non sarà basato su un trasferimento di conoscenze "verticale" -seppure ci saranno momenti in cui avverrà- ma piuttosto una acquisizione di conoscenze e competenze su base "esperienziale". Cioè basandosi su un forum si discuterà insieme e si svolgeranno compiti sui temi proposti dai docenti. Vi saprò dire come andrà...

Quel che è emerso da questo primo weekend che ho trascorso a Ferrara è stato il fatto che ormai bisogna trovare nuovi paradigmi comunicativi.
Comunicare la scienza nell'era della comunicazione digitale è sicuramente una sfida: la velocità che implica la rete, l'uso sempre più intensivo dei social media e dei social network, l'avvento di nuovi mestieri (nonostante si possa polemizzare su questo) di "Youtuber" e di "Blogger" cambia radicalmente il significato di informazione e giornalismo. Non esiste -e non può tornare ad esistere- "lo ha detto lo scienziato sul giornale e quindi è così"; siamo nell'era digitale, del 4G (e a breve del 5G), della ricerca del wi-fi prima che del senso della vita, in un attimo trovi lo scienziato o la persona autorevole che mette in dubbio tutto e tutti. E badate bene, non è necessariamente un male -anzi-; dipende sempre dall'uso e dal bilanciamento che questo processo porta.
Se volessimo parlare di una comunicazione 1.0 sarebbe quella del "l'ho letto sul giornale o sentito al TG"; era un po' un'epoca dove ci si basava sull'autorevolezza delle persone: "lo ha detto il presidente", "lo ha detto il medico"... erano tutte frasi che bastavano di persé; chiudevano la discussione pubblica nella maggioranza dei casi; al massimo continuava nei bar, ma rimaneva chiusa lì fra un caffè e un bicchiere di vino.
Si è passati poi alla comunicazione 2.0: quella di internet. La discussione si è aperta e i bar sono diventati luoghi aperti e condivisi a tutti, le parole volate sono diventate scritte e accessibili a tutti in pochi secondi. Se volessimo datare quest'epoca potremmo dire che è iniziata verso la metà degli anni '90. È stata l'epoca della nascita e dell'uso massivo delle e-mail, la nascita di wikipedia (2001), l'epoca del "lo cerco su google". La rivoluzione digitale insomma, i primi video di gattini (youtube nato nel 2005), è stato insomma il momento della nascita di una disponibilità di informazioni costante nel tempo e man mano sempre più veloce.
Ma siamo ancora nella comunicazione 2.0? La nascita dello smartphone, del "sempre connessi"e dei social network (che tradotto sarebbe un fantastico "lavoro sociale di rete" ma ahimè non è così), secondo me, ci ha portato almeno in una "comunicazione 2.1". Più del 60% degli italiani ha almeno un social network e si passano orma più di 5 ore al giorno su internet, 2 di queste sui social (fonte) e gli adolescenti pare ancora di più. L'informazione viene quindi veicolata su questi sistemi. Questo ha generato la cosiddetta epoca della post-verità.  Il controllo delle informazioni scavalca l'antico concetto di "autorevolezza", passando per il neonato concetto di like e condivisione: più like hai e più sei condiviso più sarai visto e più la tua informazione peserà -consiglio la lettura di questo editoriale. Non c'è solo quello però (e ripeto non è che sia un male) cambia anche il mondo del giornalismo che si trova ad un bivio fra l'accuratezza delle notizie e la rapidità nel farle uscire (un contenuto social ha circa 3 secondi per catturare l'attenzione o viene scartato); bivio che comporta un rinnovamento e un lavoro nuovo e diverso di "fact checking" e di approfondimento.
L'altro lato della medaglia di questo processo è il "dataismo": chi controlla i dati in fin dei conti controlla l'informazione che passa. È l'epoca della gestione e dell'analisi di grandi moli di "big data" che influenzano la nostra vita. Amazon, Google, Facebook, Twitter e moltissime grandi aziende possiedono una infinità di informazioni enorme sulle vite dei "naviganti" e, tramite la pubblicità e le opere di marketing, sono in grado di spostare l'attenzione del pubblico. Inoltre c'è la disponibilità continua data dagli smartphone. L'informazione si trova al bivio quindo se pensare e vivere il cambiamento puramente come business e quindi spostarsi dove vuole la pubblicità o vivere il cambiamento come questione di stile generando i dati per spostare la pubblicità. Naturalmente sto descrivendo scenari estremi con tutte le sfaccettature intermedie che ci sono.

Comunicare la scienza non può sentirsi esente da questo: la famiglia Angela (grande organizzatrice di comunicazione scientifica in TV) rimane sicuramente un esempio di modernità e di come adattare i contenuti al cambiamento, ma -sopratutto Piero- si ritrova su una piattaforma (la televisione) che è in grado di attrarre sempre meno e che difficilmente tornerà in auge. I movimenti come "no-vax", "terrapiattisti", "pranariani" ecc... sono frutto più che di un "orrore ignorante" di un "errore comunicativo" da parte i quelle fonti una volta autorevoli che non si sono adattate alle nuove sfide e ai nuovi mezzi comunicativi convinti di trovarsi ancora "sulla cima del faro" dove tutti guardano per trovare la luce. E la scienza questa domanda se l'è posta, non trovando vere risposte ma belle analisi e qualche punto comune (vedi fonti).

La sfida vera è quindi come muoversi, come la scienza può superare la comunicazione 2.0 (semmai l'abbia raggiunta). Bisogna ragionare in team e trovare metodologie e nuovi stili comunicativi; spero che il master possa aiutare a fare questo.

Alla fine ho delle domande per voi:
- Per i comunicatori (ma non solo): quali sono i "punti forti" che attualmente vedete nella comunicazione scientifica? Quali le basi solide su cui costruire il futuro? E invece quali sono i "punti deboli" su cui costruire? Quali cose sono da difendere e implementare e quali invece da rivoluzionare?
- Per i lettori (ma non solo): cosa vi rende difficile -o al contrario facile- approcciarvi alla corretta informazione scientifica? Quali suggerimenti sentireste di dare ad una persona (scienziato, giornalista, divulgatore, informatore) che vuole iniziare a parlare di scienza per essere ascoltato e capito? Come tradurre l'esperienza e la conoscenza in attraente credibilità?

Attendo ansioso i vostri commenti.

Una ricerca dice

FONTI

Commenti

  1. Punti forti: rapidità e brevità; punti deboli: inaccuratezza, termini inappropriati, sensazionalismo.
    Servirebbero termini semplici ma corretti e fatti descritti senza ingigantimento a caccia di click.
    Problema: il click serve per guadagnare e vendere ...

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  2. Da lettore, dal momento che indietro non si torna, l'idea migliore mi pare quella di cavalcare l'ondata che sta trasformando il mondo della comunicazione per guidarla dove si desidera, o per lo meno per accaparrarsi una fetta di quel mondo che sia la più sostanziosa possibile
    Sicuramente non è il caso di rinunciare al clickbait (per quanto ci sia modo e modo di farlo), mentre il sensazionalismo paga poco e sempre meno (porta a molte condivisioni ma ad un esiguo numero di persone che vanno oltre la prima riga)
    In ambito scientifico soprattutto, dato che il sensazionalismo causa danni non indifferenti a lungo termine

    Probabilmente, dato che la divulgazione scientifica classica non regge il confronto (a livello di visibilità) con le pillole di scienza che regalano una singola nozione, potrebbe essere una buona idea evolvere questo nuovo "stile"

    Invece di passare una nozione (il classico "sapevi che i fulmini colpiscono sempre i punti più alti?"), passarne 2 legate tra loro creando curiosità("sapevi che i fulmini colpiscono sempre i punti più alti per questo motivo?")
    Facendo molto gradualmente un po' di passi del genere potrebbe crearsi una utile cultura scientifica popolare di base, e disgregarsi l'attuale impressione della scienza come torre d'avorio

    Chiaramente inizialmente le nozioni devono poter essere spendibili fuori la sera con gli amici mentre si parla del più o del meno per apparire brillanti, oppure tutto si ferma ancora prima di iniziare ;)

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  3. Grazie mille dei contributi! Sono davvero contento di vedere commenti costruttivi
    Al momento sembra che emergano questi elementi chiave
    - Brevità e sintesi: la necessità di una comunicazione breve, rapida e facilmente spendibile
    - Accuratezza: usare termini e frasi scientificamente corrette per evitare mal-interpretazioni
    - Click-bait: aspetto a due facce, se da una parte è necessario per la visibilità (il guadagno può dipendere dalla pubblicità, ma sotto certi numeri è esiguo veramente e può essere una mera questione di business) dell'altro può entrare in contrasto con l'accuratezza e può generare un errato sensazionalismo

    Soluzioni? Io non ne ho, spero che il master possa aiutarmi a trovarle. Certo è che è un problema a tutto tondo che coinvolge noi comunicatori (divulgatori, giornalisti scientifici e comunicatori istituzionali) che dobbiamo assumerci la responsabilità e l'umiltà di formarci e scendere dal piedistallo e il pubblico che deve essere formato alla cultura scientifica. Certo è che siamo noi comunicatori che dobbiamo fare il primo passo e trovare nuove forme comunicative per penetrare nella comunicazione moderna.

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  4. Intanto una curiosità (già tra le righe nel post): la comunicazione scientifica per voi è entrata in quella che viene definita nel post "comunicazione 2.0" o è ancora indietro?

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  5. Sicuramente bisogna riuscire ad adattare la comunicazione alla nuova forma della società. Tuttavia penso che si debba fare anche un altro grande cambiamento: modificare la società stessa.

    La scienza, per quanto la si possa semplificare, rimane comunque un qualcosa di complesso e più il pubblico si abitua a cose semplici e immediate, più ci si allontana dalla scienza e ci si avvicina al raccontar favole.

    Quindi secondo me adattarsi ai nuovi mezzi è fondamentale, ma è anche fondamentale spingere verso una società in grado di ricevere informazioni di un certo tipo.

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