Coronavirus: 100 giorni di personale analisi

Sono ormai 100 giorni, dal 29 febbraio che io e il mio file excel su COVID-19 conviviamo. I dati di cui vi parlerò quindi analizzano i dati dal 29 febbraio al 8 giugno. Parleremo quindi di andamento dell'epidemia in Italia e nel mondo.

Uno sguardo al mondo

Partendo dai dati di Worldometers ho analizzato gli stati con più di 5 milioni di abitanti. Si tratta di 122 Paesi che fanno 7644520810 abitanti al mondo. In questo periodo questi 122 Stati hanno sperimentato 6954578 casi di persone affette da COVID-19. Numeri che sa soli rendono da una parte la grandezza del fenomeno, dall'altra la portata relativa di questa pandemia. Infatti lo 0.1% circa della popolazione mondiale a livello globale si è, ufficialmente, infettata da SARS-CoV-2, costituendo però praticamente 7 milioni di contagiati ancora in perenne crescita. Nell'analisi che vi presenterò analizzerò un po' di dati normalizzandoli su 1 milione di abitanti in modo da capire l'effettiva portata dell'epidemia per ogni Stato.
Dei 122 Paesi analizzati 14 non hanno fornito il numero di test effettuati per fare la diagnosi si tratta per lo più di paesi africani, ad eccezione del Nicaragua e di uno stato d'eccellenza in questo caso. Si tratta del Paese da cui tutto è partito, cioè la Cina. Questa mancanza è grave, anche se in parte giustificata. Giustificata dal fatto che la Cina ad un certo punto ha sesso d fare diagnosi di laboratorio (tramite tampone), ma diagnosi clinica, cioè basandosi sui segni della malattia, in primis il danno polmonare rilevabile da lastre. Tuttavia questo fatto non giustifica del tutto la mancanza di questo dato che costituisce una non comunicazione effettivamente grave.

Il numero di test è importante?

Una delle domande che ci si pone sempre è se è vero che più test si fanno più casi si trovano. Come ho detto prima i dati sono basati sul numero di test su milione di abitanti, perché è chiaro che 200 mila test fatti in India su un miliardo di persone non avrebbero lo stesso peso dello stesso numero i test fatti in Danimarca che ha nemmeno 6 milioni di abitanti.
La risposta alla domanda è: parzialmente. Infatti l'indice di correlazione fra test e numero di asi è 0.61 che qualunque statistico individuerà si come una relazione positiva ma assolutamente insufficiente per ipotizzare una reale relazione fra i due eventi.
La nazione che ha fatto più test sugli abitanti sono gli Emirati Arabi Uniti con quasi 253000 test su milione di abitanti, mentre quella che ne ha fatti meno è lo Yemen con 4 test su milione di abitanti.
L'Italia dove si posiziona in questa classifica? In buona posizione essendo a nona nazione per test su abitanti. In data 8 giugno contava infatti 70064 test su milione di abitanti. Come casi su milione di abitanti il primo paese è il Cile con quasi 7300 casi su milione di abitanti, mentre l'Italia è undicesima con 3891 casi su milione di abitanti.
Vediamo il lato nero dei morti. 5 Stati (Uganda, Cambogia, Laos, Vietnam e Papua Nuova Guinea) non hanno comunicato i tassi di letalità. Il paese con la letalità più alta registrata è il Belgio con 829 morti da COVID-19 su milione di abitanti, seguita da UK e Spagna. L'Italia in questa nefasta classifica si colloca quarta con 562 morti su milione di abitanti. Anche qui la correlazione positiva c'è, ma si attesta a 0.67, dimostrando che alcuni paesi hanno probabilmente o contato i morti in modo diverso oppure hanno affrontato meglio l'epidemia. Non mi metterò a fare le pulci su ogni Paese al mondo, però è particolare come proprio Stati ricchi siano quelli che registrano una maggior letalità.
Andando sul lato positivo vediamo i guariti. 4 Paesi (Olanda, Spagna, Svezia, UK) non hanno comunicato il numero dei guariti. Il Paese con più guariti è il Cile con 5005 guariti su milione di abitanti e l'Italia, come per la letalità, è quarta. Nel nostro Paese infatti c'erano 2755 guariti su milione di abitanti. In Europa maglie nere per guariti sono la Finlandia con 1047 guariti su milione di abitanti e la Francia con 1089 guariti.
Nonostante questa singolarità in generale il dato dei guariti non è legato né al numero di casi, né al numero dei morti.
Sarà interessante, ad emergenza ufficialmente terminata, cosa abbia determinato tassi di guarigione a velocità diverse nei vari Paesi Europei ed occidentali, anche per attuare strategie comuni nell'ambito della sanità che garantiscano standard efficienti nell'affrontare possibili emergenze future.
Uscendo dal livello "classifiche" si nota comunque uno sforzo globale enorme nel comunicare i dati di questa pandemia e ciò è importantissimo per l'analisi scientifica. Ricordiamo infatti che senza dati non c'è scienza.

Come evolve l'epidemia in Italia

Bene direi. Nonostante le riaperture al 8 giugno il temuto effetto de "La danza" non si è manifestato.
Per chi si fosse perso l'ultimo post dove spiegavo il significato di R0 e Rt, la "danza" era quel fenomeno che ci si attendeva di un aumento relativo dei contagi per effetto delle riaperture Non voleva dire una crescita di Rt sopra ad 1 necessariamente, ma comunque una crescita rispetto al minimo visto per effetto del lockdown. Anche qui analizzerò il dato rispetto al numero di tamponi fatto. Perché è chiaro che 100 positivi su 1000 tamponi hanno un minor peso di 150 su 100000 tamponi. La percentuale di tamponi positivi (quindi di nuovi casi) dopo le riaperture ha avuto una costante tendenza alla discesa
Negli ultimi 10 giorni questo valore si è abbastanza stabilizzato in media, sul valore dello 0.63% di tamponi positivi su quelli effettuati. Quindi più che un effetto danza si potrebbe parlare di una "diminuzione della diminuzione". Effetto senz'altro positivo, rispetto a quelle che erano delle, legittime, attese iniziali.
Il numero dei tamponi è in costante aumento, tranne nell'ultima settimana a causa degli effetti "ponte del 2 giugno" e "effetto weekend" che hanno portato ai classici crolli dovuti alle festività dove i laboratori procedono a rilento.
I grafici mostrati mostrano il numero di tamponi e l'ingrandimento arancione del numero di nuovi casi di nuovo coronavirus giornalieri con le rispettive curve di tendenza.
Per quanto riguarda invece i numeri generali dell'epidemia troviamo una sempre minor pressione sulle strutture ospedaliere. Le terapie intensive sono ormai sotto le 300 unità, mentre gli ospedalizzati con sintomi meno di 4800 casi. Negli ospedali italiani quindi si trovavano al 8 giugno 5012 persone affette da COVID-19 che sommante alle 29718 in isolamento domiciliare facevano 34730 ufficialmente positive. Bisogna ricordare che questi numeri rappresentano solo uno spicchio, si spera rappresentativo, della reale situazione. Gli infetti sono sicuramente molti di più, ma grazie alle misure di prevenzione in costante diminuzione.
Tutti i parametri comunque sono positivi, si sta raggiungendo chiaramente il plateau del totale infetti, il calo di terapie intensive e ospedalizzati è costante ed anche quello dei domiciliati. Plateau che si sta raggiungendo anche per i morti, mentre i guariti sono in costante crescita.

Cosa imparare?

Dai dati mondiali, ma anche da quelli italiani, ormai possiamo trarre alcune lezioni.
La prima è l'importanza di uno sforzo e coordinamento globale nel comunicare i dati. Le statistiche, che qui io mi sono limitato a descrivere, infatti servono e serviranno agli esperti ed epidemiologi per capire l'evoluzione della malattia, tracciare eventuali collegamenti con altri fattori. Come già detto poi, senza dati non c'è scienza, e a priori nessun dato può definirsi senza rilevanza.
Poi le differenza fra vari Stati aiuteranno a capire quali modelli hanno funzionato, quali interventi sono risultati più efficaci e quali no.
Le pandemie, che sono eventi mondiali, ci dovrebbero spingere ad una coordinazione globale più forte e sempre maggiore.
La sanità non può, soprattutto in eventi simili, essere un terreno di scontro politico, una ricerca di un consenso e fonte di una frammentazione territoriale per lotte governative. Se si imparasse questo da un evento catastrofico come questo, bhe sarebbe un enorme lezione.

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