Il mistero dell'astice dalla chela di Pepsi

Ha fatto il giro del mondo l'immagine dell'astice "tatuata" con la Pepsi sulla chela.



Come ha fatto a finire quella immagine sulla chela dell'astice?

Nonostante ormai sia dimostrato come i coloranti possano passare e depositarsi in tessuti biologici pare impossibile che quello sia un trasferimento diretto di colore da un residuo di plastica: l'immagine è infatti troppo definita su un'area relativamente grande di chela, improbabile anche che si tratti di un "appiccicamento", la cosa più probabile è che l'immagine si sia inglobata nel tessuto. Avete presente quei tronchi (come questo di Dublino) che crescendo inglobano cose? Ecco potrebbe essere un fenomeno simile: crescendo l'astice -probabilmente durante la muta- ha incorporato fra il tessuto della chela (la chitina e calcare) un pezzo di plastica, metallo o tessuto contenente l'immagine stampata. Ovviamente non ci sono certezze e tutte le ipotesi rimangono plausibili.

Se le cause del "tatuaggio" rimangono incerte una cosa è certa: c'è sempre più plastica nei nostri mari.


È dai primi anno '70 che nella letteratura scientifica si inizia a parlare del problema della plastica che finisce annualmente nei mari.

Dal 1975 ad oggi la produzione di plastica al mondo è passata da 45 milioni di tonnellate l'anno a più di 300 milioni di tonnellate l'anno con un aumento qui di circa 7 volte nell'arco di circa 40 anni; un aumento di portata esponenziale che riflette sicuramente uno stile di vita sempre più legato a questo materiale e il cui trend non sembra certo calare.
Nel 1975 viene stimato che circa 5.8 milioni di tonnellate di plastica al mondo finivano negli oceani, questa stima -nel 2013- si aggira (a seconda di vari articoli e metodi di stima) dai 5 a 13 milioni di tonnellate; con la maggioranza delle stime che si aggira sugli 8 milioni di tonnellate annue. Il dato della stima attuale presenta una larga incertezza in quanto non siamo in grado di avere controlli precisi su quantità di materiale plastico che finiscono nei mari da parte dei paesi poveri emergenti (in particolare Africa, Cina e India) sulla quantità di materiale plastico rilasciato da fiumi e città in prossimità delle aree costiere. L'80% circa della plastica presente negli oceani deriva da sversamenti provenienti da attività umane provenienti da zone densamente urbanizzate o industriali, il 10% circa delle materie plastiche deriva invece da attività umane svolte in mare stesso (infatti sono materiali da pesca come fili o reti o confezionamenti plastici); il rimanente (meno del 10% ndr) proviene da altre fonti (naufragi, disastri naturali, altre attività umane).

A vedere il lato positivo della medaglia possiamo dire che a fronte di un aumento di circa 7 volte di produzione di plastica, lo sversamento in mare è al massimo poco più che raddoppiato. Tuttavia va notato che la plastica è un materiale più che resistente alla decomposizione: infatti a seconda del materiale plastico la biodegradazione della plastica avviene in un periodo compreso fra i 10 e i 1000 anni. Il PET (una delle plastiche più comuni) è stimato che ci metta 450 anno a degradarsi completamente.

Anno dopo anno quindi questa plastica si accumula e, secondo il rapporto Stemming the tide, nel 2025 ci sarà una tonnellata di plastica per ogni tre tonnellate di pesci che -a questo ritmo- per questo report, aumenterà fino a superare la quantità di pesce nel mare nel 2050 (1150 milioni di tonnellate circa).
Letteralmente, quindi si potrebbe avere "un mare di plastica" insito nei mari del mondo.

Questa "marea plastica" rischia di compromettere -e probabilmente lo sta già facendo- la vita stesa degli oceani. Non si tratta del cavalluccio marino che si porta a spasso un cotton fioc o di un astice con la pespsi, ma di animali morti. Esempio classico sono le tartarughe morte perchè scambiano sacchetti di plastica per meduse o uccelli morti sulle spiagge (fece scandalo questa foto). Secondo il rapporto Ocean Conservancy gli oggetti che uccidono di più sono: attrezzi da pesca, sacchetti e utensili di plastica, palloncini, mozziconi di sigaretta e tappi di plastica. Secondo uno studio ci sono circa 690 specie minacciate dalla plastica marina; ad inquietare ancora di più è il fatto che, tra queste specie, il 17% di queste sono inserite nelle liste rosse degli animali in pericolo di estinzione.


Inoltre dobbiamo pensare al problema "emergente" (se ne parla dal 2006 nella letteratura scientifica) delle cosiddette microplastiche, cioè di particelle di plastica di diametro inferiore ai 5 mm. Infatti non ci sono le quantità di rifiuti (bottiglie, contenitori, oggetti vari) che finiscono nel mare e che formano le "isole di plastica" diventate (tristemente) famose (tra l'altro su una si è chiesto di fondarci uno stato).

Le microplastiche derivano o dall'industria stessa (ad esempio microsfere utilizzate in cosmetica o per l’igiene personale) o dalla degradazione in mare per effetto del vento, del moto ondoso o dei raggi UV che degradano la plastica più grande. Queste microsfere di plastica invadono ormai tutti gli organismi marini e si insinuano negli apparati digerenti di tutta quella serie di piccoli organismi (il plancton) che sono alla base della catena alimentare trasmettendosi così anche in animali che normalmente non sarebbero interessati dalla possibilità di ingestione diretta di plastica. Sulla tossicità di queste materie siamo molto indietro per vari motivi: non siamo in grado di conoscere perfettamente i prodotti che le compongono, infatti non conosciamo quali plastiche siano più "propense" a sviluppare microparticelle e non sappiamo con precisione i prodotti della "fotodegradazione" (la degradazione da raggi UV); sono poi pochi gli studi che ne analizzano la tossicità a lungo termine (qualcosa sulla tossicità acuta a breve termine c'è, ma comunque limitati) e il fenomeno è noto da poco più di 10 anni (il che rende difficile avere studi ben fatti in modo ampio e duraturo nel tempo).
Secondo dati di Greenpeace ci sono da 5000 a 50000 miliardi di particelle microplastiche nei mari del mondo e i dati dell'Unep rilevano che nel Mediterraneo circolano 250 miliardi di frammenti che corrispondono a circa 677 tonnellate,derivanti principalmente dalla degradazione di prodotti più grandi.
Le microplastiche sono praticamente impossibili da rilevare dalle analisi di controllo qualità effettuate dalle aziende (autocontrollo) e dai controlli ufficiali e quindi sono pronte a finire (e con ogni probabilità già ci finiscono) nei nostri piatti con rischi che noi non siamo ancora in gradi di prevedere.

Quali soluzioni? Al momento non ce ne sono. Norme di buon senso per tutti noi sono comunque da applicare: evitare abbandoni ed aumentare il riciclo, recuperare oggetti di plastica (soprattutto sacchetti e tappi che possono essere più pericolosi per gli animali) quando li si trova in acqua e diminuire il consumo di plastica sono certamente utili. Dal punto di vista industriale e sociale si deve cercare di ridurre il consumo di plastica (tornando a contenitori di vetro, riutilizzandola...) e cercare soluzioni "bio" alla plastica (come le bio-plastiche biodegradabili). L'unico sistema sarebbe quello di smettere di farne finire negli oceani e ridurre drasticamente la produzione e uso di microplastiche, tuttavia il problema della plastica già in mare non si risolverebbe 


Se come sia diventata in quel modo rimane un mistero, la "aragosta alla pepsi" risveglia quindi un problema a cui si pensa raramente diventando un simbolo di resistenza e resilienza.



FONTI
http://www.mirror.co.uk/news/weird-news/how-lobster-end-up-pepsi-11618065
http://www.telegraph.co.uk/news/2017/12/01/lobster-pepsi-logo-tattoo-claw-caught-canada/
https://news.nationalgeographic.com/2017/11/lobster-claw-pepsi-soda-can-new-brunswick-spd/
https://www.theguardian.com/world/2017/nov/29/lobster-pepsi-logo-ocean-new-brunswick-canada
http://www.corriere.it/scienze/cards/i-mostri-mare-ecco-pesci-che-mettono-paura-vederli/alligatore-gigante_principale.shtml
http://www.nationalgeographic.it/wallpaper/2016/05/27/foto/i_nuovi_colori_dell_oceano-3077119/4/
http://tg24.sky.it/ambiente/2017/11/30/aragosta-logo-pepsi.html
http://www.repubblica.it/ambiente/2017/11/30/news/canada_pescata_aragosta_con_marchio_pepsi-182621284/
http://www.metronews.it/17/11/30/marchio-di-bibita-su-chela-di-astice.html
http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2017/12/01/news/dall_astice_tatuata_pepsi_un_sos_per_l_inquinamento_marino-3776190/
https://www.lifegate.it/persone/news/plastica-mare-2050
https://www.lifegate.it/persone/news/plastica-oceani-animali
https://committee.iso.org/files/live/sites/tc61/files/The%20Plastic%20Industry%20Berlin%20Aug%202016%20-%20Copy.pdf
https://oceanconservancy.org/wp-content/uploads/2017/04/full-report-stemming-the.pdf
https://www.ellenmacarthurfoundation.org/assets/downloads/EllenMacArthurFoundation_TheNewPlasticsEconomy_20-1-16.pdf
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0048969716310154?via%3Dihub
http://science.sciencemag.org/content/347/6223/768.long
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24982135
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4104848/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28449819
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0025326X14008571
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=plastic+and+ocean
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29172041
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29136530
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28646766
https://www.theguardian.com/business/2016/jan/19/more-plastic-than-fish-in-the-sea-by-2050-warns-ellen-macarthur
https://www.bibenda.it/news_bibenda_singola.php?id=385

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