La complessità di un bicchier d'acqua. Cosa sappiamo e i miti che circondano un bene prezioso.

In collaborazione con KIT - Knowledge Improving Tools.

L'acqua, come si sa, è la fonte della vita (perlomeno sulla terra).
Infatti, tutte le reazioni chimiche che sostengono la vita per come la conosciamo noi, in assenza di acqua non potrebbero avvenire. Per questo motivo nella cosiddetta “astrobiologia” un indizio utile a trovare vita su altri pianeti è proprio la presenza di acqua.


Ma cosa c'è nell'acqua che beviamo e che tipo di acqua è meglio bere?
Innanzitutto, c’è da dire che la “Terra” dovrebbe essere chiamata “Acqua”, infatti circa il 71% delle superficie del globo è coperto da acque (liquide o ghiacci galleggianti), mentre la parte di suolo emerso occupa circa il 29%.
Di tutta l’acqua del pianeta però, la maggior parte è acqua salata. Infatti circa il 69% della superficie del globo è composto da mari e oceani salati, mentre il 2% circa da acqua dolce. Delle acque dolci presenti sulla terra, quasi la metà è intrappolata in grossi ghiacciai.
Nonostante l’acqua dolce sul nostro pianeta sia così limitata, al suo interno troviamo circa il 41% di tutte le specie di pesci conosciute. Ma nonostante l’acqua dolce sia così preziosa, la posizione di fiumi e laghi ha facilitato lo sviluppo urbano umano, che da tempo minaccia queste risorse con gli scarichi di materia organica e sostanze inquinanti.
Ma come si distingue un'acqua dolce da un’acqua salata? A parte il gusto personale, per classificare un’acqua come dolce o salata si fa riferimento alla Convenzione di Venezia del 1959:
  • l’acqua con concentrazione di sali inferiori al 1% viene definita dolce; 
  • con concentrazione di sali fra l’1 e il 29% viene detta acqua salmastra;
  • mentre se possiede percentuali di sali dal 30 al 40% è definita salata; 
  • infine, l’acqua con concentrazione di sali superiore al 40% è definita salamoia. 
Le acque salmastre, con grande varietà di concentrazioni, sono presenti principalmente nelle lagune e alle foci dei fiumi.
Ma un’altra distinzione che bisogna fare tra le acque del globo, ed è forse la più importante per noi, è la distinzione tra acque potabili e non potabili.
Il 99% delle acque dolci presenti in natura non sono potabili. Le acque potabili sono acque dolci con particolari caratteristiche che fanno sì che non nuocciano alla salute umana (non contengono inquinanti tossici, batteri o patogeni) e costituiscono meno dell'1% delle acque presenti in natura.

La potabilizzazione, consiste in una serie di trattamenti sequenziali dell’acqua, che eliminano residui solidi, inquinanti e batteri. Le acque potabilizzate quindi, sono prive di inquinanti e sostanzialmente sterili.
Attenzione, fino ad ora abbiamo parlato di potabilizzazione, non depurazione, che sono due cose diverse.
Per depurazione infatti, si intende il trattamento delle acque (reflue) provenienti dalle attività umane, per poterle immettere nuovamente in natura, senza arrecare danno all’ambiente. (Spesso si pensa che la depurazione vada in senso inverso e serva a darci acqua pulita da bere, ma non è così).
Sostanzialmente, la depurazione è un processo più “grossolano” della potabilizzazione, che serve a eliminare batteri e composti chimici particolarmente tossici per l’ambiente.
Il primo passaggio è la vagliatura, ovvero il passaggio dell'acqua in griglie, per trattenere i materiali solidi. Seguono la dissabbiatura e la disoleatura, in cui avviene la sedimentazione delle sabbie e la risalita e separazione degli oli e dei grassi. Proseguendo, l’acqua viene inviata in vasche “biologiche” dove microrganismi opportunamente selezionati consumano le sostanze organiche inquinanti per il loro metabolismo. Questi microrganismi, che proliferano in quantità, formano aggregati simili a fiocchi di neve che vengono rimossi per sedimentazione.
L’acqua a questo punto è pronta a tornare in natura.
Potabilizzazione e depurazione condividono alcuni passaggi, anche se la prima risulta sicuramente più “pulita” della seconda, grazie a trattamenti più fini.
Infatti, l’acqua potabile deve essere sostanzialmente sterile per essere immessa in acquedotto. Solitamente, per la disinfezione vengono usati i derivati del cloro. Questi hanno un elevato potere disinfettante e costano meno di altri tipi di trattamento dell’acqua come ad esempio, l’ozono, i raggi UV, e le membrane semipermeabili. Al termine del processo di sterilizzazione, i prodotti disinfettanti vengono rimossi tramite apposite vasche di decantazione, dove possono evaporare, o tramite il passaggio dell’acqua in filtri ai carboni attivi, capaci di trattenere i prodotti chimici.
Inoltre, le acque potabili vengono controllate periodicamente per durezza e residuo fisso, che devono rientrare in determinati parametri di legge.

DA DOVE ARRIVA?

La maggior parte dell’acqua potabile ad uso umano arriva dal sottosuolo e viene chiamata freatica, mentre solo una minima parte deriva da fonti superficiali.
In Italia si utilizzano principalmente tre fonti di approvvigionamento idrico: pozzi, sorgenti e acque di superficie.
I pozzi sono strutture artificiali che pescano acqua dalla profondità del suolo, con o senza l’aiuto di pompe idrauliche. In ogni territorio la profondità del pozzo è valutata dalle autorità competenti così come il suo trattamento. Naturalmente non stiamo parlando di pozzi profondi qualche decina di metri come quelli che possiamo trovare in alcune case d’epoca, bensì di pozzi che scendono centinaia di metri sotto il suolo.
Le sorgenti invece, sono fonti naturali di acqua che, incontrando strati di roccia impermeabile, riescono a risalire fino a sgorgare in superficie. Va specificato che non tutte le sorgenti sono potabili
Infine, troviamo le acque di superficie, costituite da corsi d’acqua, laghi naturali, bacini artificiali e acqua di mare. Queste acque devono sempre essere trattate per la potabilizzazione e nel caso dell’acqua di mare, desalinizzate tramite l'osmosi inversa. Infatti, per quanto puro e incontaminato possa sembrare un ruscello di montagna, va considerato che non siamo solo noi uomini a rendere non potabile l’acqua. Ad esempio, bastano le deiezioni di qualche animale per riempire l’acqua di batteri.

Da dove arriva l’acqua degli acquedotti italiani? Beh, stando ai Istat del 2015, la situazione varia molto da regione a regione. Tuttavia, emergono alcuni dati interessanti e, per certi versi sorprendenti.

Le sorgenti la fanno da padrone (80% e più) nelle regioni di montagna come Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Abruzzo, Molise. Ma anche nelle Marche, nel Lazio e nella Campania, l’acqua potabile proveniente da sorgenti naturali è parecchia, arrivando al 60-70%.

Le regioni che pescano di più dai pozzi sono invece le regioni di pianura, ma non solo. Abbiamo la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, il Friuli-Venezia Giulia e l'Emilia-Romagna (con percentuali che vanno dal 60 fino all'80%)
, ma troviamo anche l'Umbria e la Sicilia, con più del 60% e la Liguria, con poco più del 50%.

Chi usa molto le acque di superficie? Beh, questa tipologia di fonte è utilizzata da quasi tutte le regioni in ugual modo. Fanno eccezione la Valle d’Aosta, il Trentino Alto-Adige e l’Umbria (che proprio non ne utilizzano).
Tre regioni in particolare dipendono fortemente dai bacini artificiali: Basilicata e Sardegna (entrambe all’80%) e Puglia (60%).
Toscana ed Emilia-Romagna sfruttano particolarmente i fiumi per coprire quasi il 25% del loro fabbisogno idrico. Infine, la Calabria utilizza le diverse fonti d’acqua in maniera abbastanza bilanciata.

Ma, visto che siamo una penisola circondata da mari splendidi, perché non sfruttarli come fonte idrica? Come tutti sanno, l’elevata concentrazione di sale dell’acqua di mare la rende imbevibile e altamente pericolosa per la salute umana. Bere acqua di mare infatti ci farebbe disidratare rapidamente a causa del processo naturale chiamato osmosi.  L’osmosi è ciò che spinge l’acqua ad attraversare le membrane semipermeabili (come le membrane delle cellule del nostro corpo) spostandosi da una soluzione a bassa concentrazione di soluti verso una a concentrazione maggiore. In sostanza l’acqua si sposta per diluire la soluzione più concentrata ed alla fine ottenere due soluzioni alla medesima concentrazione (ovvero in equilibrio osmotico). Se noi quindi beviamo l’acqua di mare (alta concentrazione di sali) l’acqua contenuta nelle nostre cellule (bassa concentrazione) uscirà per andare a bilanciare l’equilibrio osmotico. In questo modo le nostre cellule possono arrivare anche a perdere completamente la loro acqua.

L’osmosi inversa è un processo artificiale, che tramite l’utilizzo di energia, spinge l’acqua in direzione opposta a quella dell'osmosi classica. Quindi, sottoponendo l’acqua di mare a forti pressioni, si può riuscire a far fluire l’acqua oltre una membrana semipermeabile, liberandola dal sale in eccesso.
Purtroppo, questo processo è estremamente dispendioso e gli impianti ad osmosi inversa si utilizzano solo se non ci sono alternative. Sono infatti utilizzati sulle navi da crociera, in viaggio per mesi senza toccare terra, e su alcune isole come ad esempio l'Isola del Giglio e l'Isola d'Elba.

COSA C'È DENTRO?

I sali di calcio e magnesio (come carbonati, bicarbonati, solfati, cloruri e nitrati) disciolti nell’acqua rappresentano la durezza.
La durezza dell’acqua dipende principalmente dalla sua origine. Per esempio, le acque naturali sotterranee sono caratterizzate da concentrazioni di calcio e di magnesio molto elevate.
La durezza è misurata in gradi Francesi (°f), dove ogni grado corrisponde a 10 mg/L di carbonato di calcio o magnesio. Secondo il DL 31/01, le acque sono considerate potabili con durezza compresa trai 15 e 50°f (quindi con concentrazioni di carbonati che vanno dai 150 ai 500 mg/L).
In base al grado di durezza le acque vengono classificate come:
·         molto dolci da 0°f a 4°f
·         dolci da 4° a 8°f
·         mediamente dure da 8° a 12°f
·         discretamente dure da 12° a 18°f
·         dure da 18° a 30°f
·         molto dure oltre 30°f

La durezza dell’acqua rappresenta quindi un parametro che permette di misurare la quantità di due minerali in particolare: il calcio e il magnesio. Rappresenta quindi una misura molto più specifica rispetto al residuo fisso (cioè il precipitato che rimane in seguito all'evaporazione di 1 litro d’acqua a 180°C) e alla conducibilità elettrica (cioè la capacità dell’acqua di condurre correnti elettriche per la presenza di ioni) perché non si limita a indicare solo la presenza o la quantità relativa alcuni sali nell'acqua potabile, ma ci permette di risalire fino al contenuto di tutti quelli presenti nell'acqua.

Parlando di acqua dura o dolce si pensa subito al contenuto di calcare e all'impatto negativo sui nostri elettrodomestici. In effetti, le acque dure sopra i 18°f reagiscono maggiormente con i saponi formando poca schiuma, ma molti precipitati (comunemente chiamati calcare) che intasano i filtri degli elettrodomestici.

È UNA QUESTIONE DI GUSTI?

La durezza dell’acqua influenza notevolmente anche la consistenza ed il sapore dei cibi.
Premesso che il gusto è un fattorie personale, esistono dei valori limite perché un’acqua possa essere considerata “bevibile”. Le concentrazioni di calcio e magnesio infatti condizionano anche il sapore dell’acqua. La soglia di sapidità permette di bere acqua contenenti dai 100 ai 300 mg/L di sali di calcio, mentre per i sali di magnesio si stima che sia molto inferiore.
A seconda di che tipo d’acqua siamo abituati a bere percepiamo anche i gusti in modo diverso. Inoltre, i sali disciolti nell'acqua, come il sale da cucina nei cibi, causano una sorta di “assuefazione”. Ovvero, se siamo abituati ad una cucina sapida, difficilmente riusciremo a gustare cibi con poco sale. Lo stesso vale anche per l’acqua. Infatti, moltissime persone che, abituate a bere acqua minerale imbottigliata, non riescono nemmeno a bere un sorso dell’acqua di rubinetto.

Ma su quali cibi la durezza influisce maggiormente?
Il è un alimento su cui, soprattutto in Inghilterra, sono stati fatti molti studi. In genere l’acqua dura è vista come un fattore che incide negativamente. Durante l’infusione infatti un’acqua dura causerà la formazione di una sorta di velo o schiuma sulla superficie della bevanda. Questa non è affatto tossica, ma è dovuta al fatto che alcune molecole del the reagiscono col calcio dell’acqua e formano composti facilmente ossidabili con l’aria che formano quel velo bianco. Questo, per i puristi, ne altera il gusto ed è sgradevole alla vista.
Il caffè è un altro alimento che risente della durezza dell'acqua: un'eccessiva durezza rende difficile l’estrazione degli aromi, rendendolo così insapore.
Pane e pasta, risultano più duri e difficili da cuocere se preparati con acque sopra i 20°f.
La birra, al contrario necessita di essere prodotta utilizzando acqua dura. Infatti, i birrifici controllano costantemente l’acqua e, se necessario, la addizionano di calcio o magnesio per adattarla al gusto che si vuole ottenere. In genere un'acqua più dolce fornisce un sapore più tendente all'acido. Tuttavia, con acqua sopra i 50°f, sono preparate pochissime birre.
L’acqua troppo dura in effetti (come il sale da cucina) tende ad inibire i gusti. Questo effetto di inibizione è stato notato anche nei succhi di frutta.

CI SONO RISCHI PER LA SALUTE?

Diversamente da quanto potremmo immaginare, pare che le acque dure abbiano alcuni effetti benefici sulla salute, che sembrano addirittura l’aspettativa di vita.

Molte persone credono che l’acqua dura sia una delle cause dei calcoli renali. In realtà questa è una leggenda metropolitana. Infatti, seppur sia vero che i calcoli sono composti da cristalli di ossalato di calcio (un sale), al momento non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino un’associazione tra assunzione di acqua dura e comparsa dei calcoli renali. Di conseguenza l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) non ha emesso linee guida in merito, sostenendo che ad oggi non ci siano evidenze scientifiche di un impatto negativo sulla salute. Per completezza però, dobbiamo anche dire che alcuni studi scientifici consigliano il consumo di acque dolci (<18°f) a chi ha già sofferto di calcoli renali in passato. Inoltre, in Italia la rete idrica trasporta solo acque con durezza inferiore ai 50°f e le linee guida del Ministero della Salute sconsigliano l’uso prolungato di acque con durezze maggiori.
Diversi studi mostrano invece un leggero ma significativo effetto protettivo delle acque dure sulle malattie cardiovascolari. Seppur questi studi siano concordi fra loro, i meccanismi biologici che regolano questa protezione sono ancora sconosciuti. Infine, l'acqua dura sembra attenuare la stitichezza facilitando il transito intestinale e ci sono prove che l'acqua ad alto contenuto di calcio sia benefica per le ossa e prevenga l’osteoporosi.

MA QUALE ACQUA BEVIAMO MAGGIORMENTE?

Nonostante gli elevati standard di qualità ed i molti controlli di sicurezza effettuati sull'acqua potabile dei nostri rubinetti, l’Italia rappresenta la prima nazione europea per consumo di acqua in bottiglia. Un italiano medio consuma all'anno più di 188 litri di acqua minerale imbottigliata. In Italia quindi esiste un enorme business dell’acqua in bottiglia, che fa spesso leva sul contenuto di sodio.
La concentrazione di sodio all'interno delle acque imbottigliate è diventata per molti una vera ossessione. L’apporto di sali nella dieta deve essere valutato rispetto ai propri bisogni nutrizionali e di salute, non ci sono valori standard validi per tutti. Infatti, seppur sia vero che un eccessivo apporto di sodio sia legato all'ipertensione e all'osteoporosi, questo elemento è essenziale per la salute umana. Infatti, il sodio risulta fondamentale per tutti i processi che regolano il corretto equilibrio di fluidi nel nostro corpo, per la contrazione muscolare e per gli scambi di nutrienti, ioni e altri elementi tra le cellule del nostro organismo.
I timori legati alla concentrazione di sodio sono quindi infondati e, soprattutto per gli sportivi, acque dure ad elevato contenuto di sodio, risultano consigliate.
Limitazioni nell'apporto di sodio vanno fatte solo nel trattamento dei calcoli renali e dell’ipertensione cronica, seguendo attentamente le indicazioni del medico curante.

Vorremmo concludere con qualche nota che teniamo a sottolineare.
Produrre un litro di acqua “pubblica” da distribuire ai rubinetti delle nostre case, costa mediamente 2 millesimi di euro. L’acqua minerale di bottiglia invece, può arrivare a costare centinaia di volte tanto a causa dei costi di imballaggio e distribuzione, ai quali vanno aggiunti i “costi” in termini di inquinamento, consumo energetico e di risorse ambientali.
L’acqua dei nostri acquedotti, per legge, è controllata giornalmente per verificare la sicurezza microbiologica e l’assenza di inquinanti come ad esempio l’alluminio, i metalli pesanti e l’ammonio. Viene verificata anche l’eventuale presenza di inquinanti particolari come pesticidi e prodotti industriali e di sostanze radioattive. Nei casi in cui l’acqua non risulti idonea, la fonte viene immediatamente chiusa fino a quando non si individua e si elimina il fattore inquinante. I controlli sono affidati alle ASL ed ulteriori controlli vengono effettuati dagli ARPA (gli enti regionali per la protezione dell’ambiente).

Aprendo il rubinetto portiamo nelle nostre case acqua buona e sicura, con bassissimi costi e senza inquinare. Ma se proprio vogliamo cercare un punto debole, l’unico rischio reale possono essere le tubature delle nostre abitazioni, che possono essere vecchie e soggette a poca manutenzione. È consigliabile quindi (soprattutto se determinate tubature si usano poco, come nel caso di abitazioni usate per le ferie) far scorrere l’acqua almeno 30 secondi prima di berla.

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